Sanatoria 2020 dei lavoratori irregolari: dove eravamo rimasti e come (e quando) si è conclusa

Sanatoria 2020 dei lavoratori irregolari: dove eravamo rimasti e come (e quando) si è conclusa
28/05/2025 Studio Incipit

A Milano e a Roma le sanatorie dei lavoratori stranieri irregolari si sono concluse dopo oltre 4 anni e due azioni giudiziarie: ci sono infatti volute due class action pubbliche, avviate già nel 2022, per spingere le rispettive Prefetture ad impiegare al meglio le risorse già stanziate e rimediare al grande ritardo già accumulato nel gestire le pratiche di emersione, moltissime ancora pendenti dopo due anni dall’inizio del procedimento.

E sì che la sanatoria in questione nasceva dal DL 34/2020 art. 103, adottato in piena pandemia anche per far fronte all’emergenza sanitaria ed erano state stanziate risorse ad hoc in previsione dell’ingente mole di domande.

I due conteziosi sono arrivati fino in Consiglio di Stato ed in entrambi i casi il massimo organo della giustizia amministrativa non ha potuto che accertare la disfunzione sistematica e riconoscere la macroscopica violazione del termine massimo di conclusione dei procedimenti in materia di immigrazione, pari a 180 giorni. Termine non espressamente contemplato dalla normativa, ma individuato in via residuale da alcune pronunce del Consiglio di Stato (sentenze nn. 3578/2022 e 3645/2022).

Nelle due sentenze del Consiglio di Stato, rispettivamente la n. 7704 del 20/09/2024 e la n. 1596 del 24/02/2025, vengono chiariti elementi assai importanti in materia di class action pubblica che contribuiscono a scardinare quella tendenza ad un “diritto amministrativo altro” che talora, in materia di immigrazione, vediamo applicare in alcuni uffici pubblici.

Ma andiamo con ordine, spieghiamo prima cos’è un’azione di classe pubblica e poi ricostruiamo in sintesi le due vicende giudiziarie che hanno avuto percorsi differenti.

La class action pubblica

La cd. azione per l’efficientamento della pubblica amministrazione è un rimedio introdotto dal D. Lgs. n. 198/2009 che attua a sua volta una delega contenuta nella L. 15/2009 art. 4 sull’efficienza e la trasparenza della PA.

L’azione è volta espressamente a ripristinare il corretto svolgimento di una funzione amministrativa o la corretta erogazione di un servizio pubblico.

Legittimati a promuoverla sono i titolari di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una classe di consumatori/utenti/cittadini che lamentino una lesione diretta, concreta e attuale derivante, nel caso di specie, dalla sistematica violazione di termini procedimentali imposti alla PA.

Ma l’azione di classe si può promuovere, nei confronti delle pubbliche amministrazioni nonchè dei concessionari di pubblici servizi, anche per il caso di mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori, di violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero di violazione di standard qualitativi ed economici.

Previo invio di una diffida a rimediare alla disfunzione amministrativa lamentata e decorsi almeno 90 giorni, l’azione può essere avviata avanti al TAR competente e si conclude con una sentenza che, in caso di esito positivo, accerta la violazione, l’omissione o l’inadempimento e ordina alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine, nei limiti delle risorse (strumentali, finanziarie ed umane) già assegnate e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma con la possibilità di nominare un Commissario ad acta in caso di perdurante inerzia o inadempimento. Con tale azione non può essere richiesta alcuna forma di risarcimento del danno.

Della pendenza del ricorso e della sentenza che lo definisce l’Amministrazione è tenuta a darne notizia mediante pubblicazione sui propri siti istituzionali così come delle misure adottate in esecuzione della sentenza di condanna, anche al fine di mettere a disposizione di altre amministrazioni la conoscenza dei rimedi adottati per correggere i ritardi o le altre disfunzioni.

Inoltre, dalla sentenza definitiva deriva per l’amministrazione l’obbligo di attivare le procedure per l’accertamento di eventuali responsabilità disciplinari o dirigenziali.

L’azione collettiva contro l’inefficienza dell’azione amministrativa svolge una funzione – come dicono i giudici –lato sensu sanzionatoria e correttiva, “recepisce una istanza di tutela di ordine trasversale, che intercetta – laddove la situazione di inefficienza cui essa si prefigge di rimediare assuma carattere costante e generalizzato – una molteplicità di singole procedure amministrative, … [trattandosi di uno] strumento congegnato in modo da incidere sul fenomeno di inefficienza complessivamente considerato, previo apprezzamento delle sue effettive dimensioni e delle sue concrete ragioni, anche mediante l’uso di poteri decisori particolarmente penetranti e di carattere innominato … rafforzati negli effetti dagli obblighi comunicativi” previsti dal legislatore.

Le due vicende giudiziarie sulle procedure di emersione

Ripercorriamo ora brevemente i differenti percorsi giudiziari delle due class action promosse a Milano e Roma.

In primo grado, su Milano, i ricorrenti (diverse associazioni che operano per la tutela dei diritti dei migranti e singoli lavoratori con domanda di emersione ancora pendente) avevano già ottenuto dal TAR Lombardia una pronuncia pienamente favorevole (MI, sez. IV, n. 2949 del 04/12/2023), all’esito di un’articolata fase istruttoria in cui la Prefettura era stata chiamata a “giustificare” il grave ritardo già accumulato, con la produzione di dati, relazioni informative sull’organizzazione degli uffici e sull’impiego delle risorse assegnate.

La sentenza di accoglimento è stata impugnata in Consiglio di Stato dall’Amministrazione, ma il giudice di secondo grado ha ritenuto immune da vizi la pronuncia del TAR Lombardia, respingendo l’appello e altresì condannando controparte alle spese di lite (€. 5.000,00).

Su Roma, invece, in primo grado, il TAR Lazio (sez. I ter n. 4621/2023) aveva respinto la class action pubblica promossa nel 2022 dai ricorrenti (sempre varie associazioni e singoli lavoratori) senza aprire alcuna istruttoria e ritenendo che le criticità sollevate dai ricorrenti non potessero imputarsi all’amministrazione, essendo le stesse il frutto di un insieme di fattori, “sia normativi che sociali”, ai quali l’Amministrazione non avrebbe potuto far fronte “neanche volendo”, mediante l’esercizio del potere ad essa assegnato.

In questo caso, la sentenza è stata completamente riformata in appello, all’esito del giudizio di impugnazione promosso dalle associazioni e dai lavoratori stranieri. Il Consiglio di Stato ha prima ordinato in via istruttoria all’Amministrazione di produrre ogni documentazione idonea a ricostruire l’iter del procedimento e delle misure adottate per porre rimedio al ritardo accumulato (istruttoria che non era stata svolta in primo grado) e poi ha emesso una sentenza di pieno accoglimento dell’appello, smontando ogni passaggio motivazionale della pronuncia TAR.

I passaggi rilevanti delle due sentenze del CDS

Secondi i giudici di Palazzo Spada, il ritardo delle amministrazioni interessate è stato grave e sistematico e ha assunto, “proporzioni di vero e proprio “fenomeno” di diffusa e cronicizzata mala gestio amministrativa”.

L’accertamento dell’efficienza, presupposto indefettibile dell’effettività dell’azione amministrativa, passa attraverso l’esame delle risorse disponibili in capo alle PA e delle misure organizzative, sia strutturali che correttive.

Quelle strutturali, nei casi di specie, “sono risultate grandemente carenti pur a fronte di un ingente stanziamento di risorse (evidentemente programmato sulla base dell’impatto atteso dalla misura legislativa), irrilevanti essendo le evenienze (ordinarie e straordinarie) dei singoli procedimenti, …, riscontrate ex post“: una carenza non quantitativa, dunque,  ma pianificatoria e strategica, sintomo stesso di mancata efficienza nell’affrontare un procedimento, come quello di emersione del lavoro irregolare, certo complesso ma noto e prevedibile nelle sue dimensioni e articolazioni.

Le misure correttive, di tipo organizzativo, semplificatorio ed acceleratorio, sono state intempestive, cioè “tardivamente adottate” dalla Pubblica Amministrazione solo dopo la diffida, mentre avrebbero dovuto e potuto essere adottate “ab origine o quanto meno…prima della presentazione del ricorso”.

E ancora “non può non osservarsi che proprio il deciso incremento nel ritmo di definizione delle pratiche di emersione – pressoché raddoppiato successivamente alla proposizione dell’azione, … grazie evidentemente alle misure organizzative introdotte dall’Amministrazione dell’Interno – dimostra da un lato la praticabilità delle stesse nel quadro delle risorse disponibili, al fine di addivenire ad un più ragionevole compromesso tra complessità della procedura di emersione ed esigenza di definizione tempestiva delle relative istanze, dall’altro lato che la loro introduzione è avvenuta tardivamente, rispetto alla data di presentazione di quelle istanze ed alla scadenza del termine all’uopo previsto, tanto più in quanto la prevedibilmente notevole quantità di domande di regolarizzazione avrebbe imposto il preventivo rafforzamento della struttura amministrativa dedicata alla loro istruttoria e definizione».

E’ ripetuta la stigmatizzazione di una gestione e organizzazione dei procedimenti “del tutto avulsa dalla considerazione del fattore temporale” … “che denota una evidente sottovalutazione del problema della massiva intempestività dell’esame delle pratiche”: come a dire che il ritardo nella definizione delle pratiche non è mai stato considerato un vero problema.

Importante è anche la precisazione in tema di onere della prova nelle azioni di classe di questo tipo: si ribadisce che spetta al ricorrente provare l’inefficienza sub specie violazione del termine, mentre l’amministrazione deve provare che questa, ove sussistente, sia dovuta a mancanza di risorse adeguate. Siamo davanti però – dicono i giudici – ad una “tipizzazione normativa del profilo dell’inesigibilità” dell’efficienza, cioè si deve presumere che se la legge attribuisce una funzione amministrativa, vi siano risorse sufficienti per gestirla in ossequio al principio di buon andamento dell’azione amministrativa e quindi nel rispetto dei termini procedimentali, assegnati sempre dalla legge.

Tale presunzione di adeguatezza è dunque tipizzata dalla norma che alla violazione del termine ricollega la disfunzione denunciata con l’azione in parola. E spetta all’amministrazione superare tale presunzione di adeguatezza, passando per la responsabilizzazione nelle scelte allocative delle risorse: “La norma sanziona così scelte allocative di risorse che risultino disfunzionali (in quanto privilegiano attività ed obiettivi diversi o ulteriori), che determinano una sostanziale frustrazione o negazione dell’interesse pubblico primario indicato normativamente come tale”.

Nello specifico, in presenza di risorse finanziarie ad hoc stanziate dal legislatore per la procedura di emersione, l’inefficienza della Pubblica amministrazione non poteva essere giustificata da presunte difficoltà derivanti dall’elevato numero di domande o dalla complessità del procedimento: l’impiego delle risorse umane ed economiche assegnate dal legislatore e passato al vaglio dei giudici amministrativi ha fatto emergere scelte sbagliate e/o tardive che hanno cristallizzato l’inefficienza accertata in queste importanti pronunce.

Speriamo che se ne possa far tesoro in occasione della prossima (auspicabile) regolarizzazione.

maggio 2025

Avv. Maria Teresa Brocchetto

 

 

 

 

 

 

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