Legittimo ribellarsi per non essere respinti in Libia

Legittimo ribellarsi per non essere respinti in Libia
10/06/2019 Studio Incipit

E’ una sentenza storica quella con la quale il Giudice delle indagini preliminari di Trapani ha assolto il 23 maggio 2019, a seguito di rito abbreviato, i due migranti, un sudanese e un ghanese, in custodia cautelare in carcere da dieci mesi, con l’accusa di avere sostanzialmente capeggiato la rivolta contro l’equipaggio del mercantile Vos Thalassa che li aveva soccorsi nel Mediterraneo insieme a più di sessanta naufraghi nel luglio 2018. La novità, infatti, è che, per la prima volta, un tribunale riconosce quale causa di giustificazione della condotta dei due (in concorso con altri migranti non identificati) la legittima difesa, assolvendoli pertanto perché il fatto non costituisce reato.

Dalle motivazioni appena pubblicate (https://dirittopenaleuomo.org/contributi_dpu/i-facinorosi-assolti/) si evince un concetto fondamentale: reagire al tentativo di essere ricondotti in Libia è legittimo al fine di salvaguardare dei diritti primari come quello alla vita, all’integrità fisica e all’integrità sessuale. Di tali diritti sono portatori tutti gli individui, in quanto diritti umani, ed essi non sono mai sacrificabili, perché l’Italia deve rispettare il quadro posto a tutela degli stessi dalle innumerevoli fonti internazionali, europee e nazionali – a partire dalla Costituzione repubblicana -.

Secondo il giudice, rispetto alla tradizionale impostazione gerarchica delle fonti del diritto deve preferirsi – in linea con l’approccio giurisprudenziale e dottrinale più moderno – una “ricostruzione sistematica in termini di concorrenza virtuosa tra fonti, nel senso che diviene di volta in volta prevalente quella che assicura una tutela più piena di tali diritti, con continuo travaso delle forme più accentuate di tutela degli ordinamenti nazionali a quello dell’UE e da questa ai primi, direzione quindi sia ascendente che discendente” (in sentenza, p. 22).

Oltre a una complessa ricostruzione di queste fonti – da quelle sulla questione della ricerca e salvataggio delle persone in pericolo in mare, a quelle poste a protezione del diritto a richiedere protezione internazionale; dalla Convezione di Amburgo che impone a chi soccorre di condurre i naufraghi in un luogo sicuro sino al divieto tortura e al connesso divieto di respingimento avente rango di jus cogens – il Tribunale di Trapani afferma un altro punto fondamentale relativo alla natura ed efficacia  del memorandum d’intesa Italia-Libia del 2 febbraio 2017. Secondo il Giudice tale intesa, oltre che disattesa dalla Libia,  non è giuridicamente vincolante sia sul piano nazionale che sul piano internazionale, essenzialmente perché in contrasto con la convenzione di Amburgo che “impone agli Stati che l’hanno ratificata di garantire che, una volta concluse le operazioni di ricerca e salvataggio dei naufraghi, questi vengano condotti in un luogo sicuro dove, oltre all’integrità fisica e alla dignità umana in generale, sia garantita la possibilità di far valere i diritti fondamentali, a partire dalla richiesta di protezione internazionale” (in sentenza, p. 32).

Sui trattamenti riservati alle persone in Libia, il Tribunale richiama ampiamente la relazione dell’Alto Commissariato ONU sui Rifugiati (ACNUR), richiesta espressamente ai fini della decisione, per concludere che la Libia non poteva, sicuramente nell’estate del 2018, ma anche a maggior ragione oggi (dilaniata da un conflitto civile), essere designata o considerata nella pratica come “paese terzo sicuro”.

Torneremo sui contenuti di questa sentenza, convinti che la tutela dei diritti umani sia assolutamente prioritario in un questo preoccupante scenario che ne giustifica la loro violazione in nome di una presunta sicurezza delle frontiere.

Perché come diceva Stefano Rodotà nel fondamentale “Il diritto di avere diritti” << libertà e i diritti non sono negoziabili>>.

Paolo Oddi

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